Wednesday 5 June 2013

Recensione de: Il forgiatore di spade, di Elodia Saetti

La spada di Bran si librò nell’aria e s’abbatté su quella dell’avversario, tagliandola di netto.
 
Dopo il suo bellissimo romanzo: Lo sguardo di Daithé, Elodia Saetti ci propone ora un nuovo testo sul mondo Celtico: Il forgiatore di spade, ambientato nella Britannia del sud, in prossimità di Stonehenge, presso la tribù realmente esistita degli Ancaliti.
Lei è un’attenta studiosa di quei popoli e ancora una volta ci offre un affascinante affresco sui loro usi e costumi, dal ruolo dei druidi e dei sacrifici umani, alle lotte di potere ed ai sistemi di vassallaggio e servitù, fino a dettagli sui loro insediamenti, il loro cibo e le loro vesti. In entrambi i libri è costantemente latente il senso dell’incombente tragico destino che avvolge quei popoli. Un destino di annientamento e scomparsa.
Vercingetorige, eroe del primo romanzo, venne sconfitto dai Romani, ed il popolo degli Ancaliti della Britannia verrà annientato, in questo secondo libro, sia per effetto di sanguinose guerre con i popoli confinanti, che per insidiose faide interne, così che andrà per sempre perduto il mondo dei loro antichi saperi. Quei saperi, che i loro adepti traevano dalla magia dei Cerchi di pietra e dalle riverberazioni del Lago sacro, e che in periodi più felici avevano permesso agli iniziati del loro popolo, di liberarsi dell’incapacità che normalmente abbiamo, di poter vedere oltre l’apparenza.
Di quei saperi che avevano permesso a Fintan, druido e fabbro ad un tempo, di forgiare una spada magica, con il metallo venuto dal cielo, dopo esservi stato adeguatamente istruito dalla giovane veggente Aisia: “Solo così potrà nascere una spada in grado di superare le cortine del tempo.
Solo ascoltando il canto del metallo, assecondandolo, piegandosi al suo desiderio. Un’unione che legherà alla materia la tua stessa forza, imprigionando la natura dell’uomo in quella del ferro, forgiandola in armonia con ciò che ti circonda”.
Destino però crudele il loro. Fintan ed Aisia si erano infatti innamorati, ma lei stessa aveva predetto: “Questo è il mio pegno d’amore - concluse in un fiato, le gote che s’imporporavano. Poi aggiunse - E la risposta alla tua domanda è: no. Non può un druido innamorarsi di una donna delle fattorie. E nemmeno il contrario”.
Dicevo destino tragico quello dei popoli citati nei due romanzi. Ma la Saetti, in questo secondo libro, ci offre uno spiraglio di speranza e di riscatto.
L’anziano druido Priyos, dalla veste e dai capelli bianchi che ci ricorda Merlino, ormai in punto di morte, scaglia lontano la spada magica forgiata da Fintan, con la sua elegante elsa incastonata di corallo, e quella va ad infiggersi profondamente in una roccia nel folto della foresta.
Nulla ci viene detto dall’Autrice, ma si comprende che quella sarà la spada che poi Artù riuscirà ad estrarre dalla rigida pietra, dando avvio ad un nuovo regno, ad un nuovo momento di gloria per le genti del sud della Britannia.
Va detto infine che alla bella trama si aggiunge, a rendere prezioso ed avvincente questo libro, l’eleganza e la raffinatezza del testo, contrassegnato anche da un ritmo incalzante quando si narra di battaglie od intrighi, solenne quando si descrivono cerimonie e sacrifici propiziatori, tenero e delicato quando si disvelano scene d’amore e di sesso.
Molto bello e pulito, è ad esempio il racconto dell’amplesso adultero di due amanti, immersi nell’acqua di un fiume. Caratteristiche queste del testo, che invitano ad ogni passo a proseguire senza soste nella lettura.
Un libro che decisamente non dovrebbe mancare nella biblioteca, non solo degli appassionati del genere.

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